Si conoscono circa 30 000 specie di piante commestibili, ma solo 30 alimentano la popolazione mondiale e di queste solo cinque cereali: il riso, il grano tenero, il mais, il miglio e il sorgo che forniscono il 60% dell’apporto energetico della popolazione mondiale. All’interno di queste specie solo poche decine di accessioni sono coltivate su larga scala. Tuttavia, altre specie come il farro sono state alla base dell’evoluzione dell’agricoltura nel Neolitico ed utilizzate per nutrire la popolazione mondiale per migliaia di anni. La semplificazione dei sistemi colturali se da un lato ha risposto alla necessità di renderli più “efficienti” e alla domanda di una popolazione in continua evoluzione, dall’altro ha determinato una forte perdita di biodiversità con conseguenze negative quali l’aumento della vulnerabilità degli ecosistemi, in alcuni casi l’estinzione delle specie e la difficoltà di soddisfare la domanda alimentare futura con tecniche sostenibili.

Almeno 3 tra gli obiettivi dei Sustainable Development Goals (2-Zero Hunger; 13- Climate Action; 15-Life on land) sanciscono chiaramente la necessità di migliorare la sostenibilità in agricoltura e aumentare la biodiversità. Il dibattito sui grani antichi si inquadra pertanto in un contesto non solo nazionale ma anche globale. Mentre la letteratura prevalente è più orientata verso la valutazione delle caratteristiche qualitative, nutrizionali e salutistiche dei grani antichi, gli aspetti di sostenibilità della loro coltivazione sono trattati solo marginalmente. A questi aspetti si dovrebbe tuttavia dare un ruolo centrale per poter inquadrare e valorizzare l’importanza del recupero dei grani antichi in un contesto più ampio e più complesso.

Albino Maggio
Università degli studi di Napoli Federico II

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